La riscossa del Sud. Quello sviluppo che spinge “dal basso”

Del “riscatto” del Sud del mondo si parla da anni. Molti lo invocano, altri dicono di attenderlo e di augurarselo, ma in una realtà in cui troppo spesso la condizione di persone, famiglie, comunità e interi Paesi è affidata a numeri e statistiche, la situazione dei popoli che vivono nell’emisfero meridionale del pianeta o “ai margini” della comunità internazionale è fino ad oggi apparsa lontana dalla prosperità degli Stati cosiddetti sviluppati. Eppure le cose sono veramente cambiate rispetto al passato.
A dirlo non è un "terzomondista" convinto o un sostenitore della teoria della decrescita felice: a mettercelo sotto gli occhi con la forza della verità sono i dati dell’ultima edizione del Rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni unite (www.un.org).

Realizzato dall’Undp, il dossier è stato presentato nei giorni scorsi a Città del Messico dall’amministratrice dell’organizzazione, Helen Clark, e dal presidente messicano Enrique Peña Nieto. Il documento è stato pubblicato regolarmente ogni anno a partire dal 1990 e ha finito per rappresentare una sorta di archivio dei progressi compiuti e degli errori commessi dai Paesi di tutto il mondo sulla strada per lo sviluppo.
Significativamente, l’edizione del 2013 si intitola “L’ascesa del Sud: il progresso umano in un mondo in evoluzione”, a sottolineare gli enormi passi avanti che i Paesi un tempo considerati poco sviluppati hanno mosso in direzione del benessere, non solo proprio, ma dell’intero pianeta.

Come sempre, anche in questo rapporto assume una particolare importanza l’Isu (Indice di sviluppo umano), una misura sintetica che valuta per ogni Paese il progresso a lungo termine su tre dimensioni considerate fondamentali per il benessere: l’aspettativa di vita, gli anni di frequenza scolastica e il reddito pro capite in dollari. A partire dal 2010, accanto a questo parametro sono stati introdotti anche l’Isu corretto per la disuguaglianza, l’indice per la disuguaglianza di genere tra uomini e donne e l’indice multidimensionale di povertà. 

Dal Cile alla Corea del Sud, dal Messico alle Mauritius, dal Brasile alla Turchia, passando per Tunisia, Ghana, Uganda, Ruanda, Indonesia, Thailandia, Bangladesh, Laos e Vietnam, solo per citare i casi più eclatanti, gli Stati del Sud stanno alzando lo standard di vita dei loro cittadini attraverso l’espansione dell’economia e delle relazioni internazionali, finanziando programmi contro la povertà e ridisegnando il proprio futuro grazie al sostegno alle iniziative imprenditoriali di società e imprese locali.

I dati raccolti mostrano che per la prima volta nella storia dell’umanità la produzione combinata delle tre economie più importanti del mondo in via di sviluppo, Cina, India e Brasile è quasi equivalente al Pil aggregato delle potenze occidentali. Secondo le proiezioni dei curatori del dossier, entro il 2050 Pechino, New Delhi e Brasilia realizzeranno insieme il 40 per cento della produzione globale, superando quella dei membri attuali del G7.

L’evidenza dei numeri non lascia molto spazio all’interpretazione: il Sud è destinato a colmare rapidamente la distanza che ancora lo separa dal Nord, con una serie di vantaggi per tutti. Grazie agli scambi Nord-Sud, infatti, le economie di nuova industrializzazione avranno a disposizione capacità per fabbricare in maniera più efficiente i prodotti di cui hanno necessità, mentre le interazioni Sud-Sud favoriranno lo sviluppo dell’imprenditoria locale. 

Quello in cui viviamo, conclude il rapporto, è un pianeta meno disuguale rispetto a qualche decennio fa. La strada fino a qui percorsa va dunque nella direzione giusta. L’importante è sostenere in ogni modo questo cammino, dando sempre più spazio a quella pluralità di voci di cui un mondo veramente globalizzato e aperto ha bisogno.

Jennifer Zocchi