Una zappa o una vanga al posto di una bambola o di una macchinina. Una scopa e uno straccio invece di libri e matite colorate. Un cumulo di piatti da lavare anziché il nascondino o il rubabandiera. Si è bambini una volta sola nella vita. Ma in molti angoli del mondo, per milioni di piccoli, ancora oggi l’infanzia è un diritto negato, strappato dalla piaga del lavoro minorile.
Nei giorni scorsi, in occasione della Giornata mondiale contro il lavoro minorile, l’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) e molte altre associazioni e istituzioni hanno lanciato un appello per eliminare definitivamente ogni forma di sfruttamento lavorativo dei minori.
Secondo l’Ilo “il lavoro dei minori è un fenomeno largamente diffuso e in costante aumento”. In tutto il mondo sono 215 milioni i bambini vittime di questa forma di sfruttamento. Di questi, 115 milioni svolgono lavori pericolosi. Per contrastare questo problema, ha sottolineato l’agenzia specializzata delle Nazioni unite, la comunità internazionale deve portare avanti “riforme della normativa e delle politiche dirette all’eliminazione del lavoro domestico minorile e a stabilire condizioni di lavoro dignitose e protezione adeguata per i giovani e le giovani lavoratrici di questo settore che abbiano raggiunto l’età minima di ammissione al lavoro”.
È inoltre necessario “avviare le procedure di ratifica della Convenzione 189 sul lavoro dignitoso per i lavoratori e le lavoratrici domestiche, e assicurarne l’applicazione insieme alle convenzioni sul lavoro minorile, numero 182 sulle peggiori forme di lavoro minorile e 138 sull’età minima”.
Tuttavia, al di là di una revisione delle regole che disciplinano la materia, per contrastare efficacemente il fenomeno sono necessari innanzitutto un’analisi approfondita delle condizioni di povertà dei diversi Paesi e interventi strategici mirati. L’esperienza ha infatti dimostrato che nelle regioni prive di opportunità di sviluppo, come l’Africa Subsahariana e alcune zone dell’America Latina, l’adozione di semplici misure coercitive contro il child labur non produce nel lungo periodo risultati concreti.
Più efficaci si sono rivelate invece misure di sostegno alle famiglie, ai villaggi e alle comunità, affiancate da progetti di formazione professionale per trattenere quanto più possibile i ragazzi nelle scuole e insegnare loro un mestiere che possa contribuire a spezzare una volta per tutte il circolo vizioso della povertà, causa principale del lavoro minorile.
India e Brasile, ad esempio, hanno iniziato da alcuni anni a investire in programmi di compensazione del reddito per le famiglie povere, in modo da consentire di mandare i figli minorenni a scuola anziché al lavoro. In questi contesti è aumentata la consapevolezza che il child labour è un ostacolo che impedisce lo sviluppo e che l’istruzione è l’unico vero strumento per uscirne.
Per questo Aidworld porta avanti da anni progetti per dare a bambini e adolescenti la possibilità di studiare. Un esempio fra tutti è offerto da Akwidaa, un villaggio di pescatori molto povero nella costa occidentale del Ghana, nel quale sono stati individuati 52 bambini tra i 5 e i 15 anni che non potevano frequentare la scuola. Da ottobre 2010 questi bimbi vanno a lezione regolarmente e ricevono un pasto quotidiano. La loro Junior High School (equivalente alla nostra scuola media) è stata inoltre dotata di un generatore elettrico e di un’aula informatica.
Perché siamo convinti che l’infanzia e la capacità di apprendimento, immaginazione e acquisizione legata a questo particolare momento della vita siano doni preziosi, da coltivare e sfruttare per consentire ad ogni bambino di diventare un adulto sereno e capace di contribuire allo sviluppo della comunità di cui fa parte.
Con la scuola e i giochi cresce tutta la società
Jennifer Zocchi