Diritti umani, le difficoltà dei migranti e l'impegno di Cécile Kyenge

Diritti umani. Molti ne parlano, pochi li applicano e li rispettano. Soprattutto se si fa riferimento a quelli di rifugiati e migranti, considerati persone di “serie B” dalla maggior parte dei Paesi della comunità internazionale. Come sottolinea Amnesty international nel suo rapporto annuale appena presentato, in assenza di un’azione globale a tutela dei diritti della persona, il mondo sta diventando un posto sempre meno ospitale, in cui chi scappa da situazioni difficili si ritrova privato di uno status sociale e di qualsiasi forma di garanzia della propria salute e del proprio benessere.

I dati raccolti nel dossier, che descrive la situazione dei diritti umani in 159 Paesi tra gennaio e dicembre 2012, rivelano che in tutto il pianeta esistono attualmente 214 milioni di migranti. Nella maggior parte dei casi la loro vita è segnata da indigenza ed emarginazione, anche negli Stati considerati più all’avanguardia dal punto di vista del diritto. “L’Unione Europea - si legge ad esempio nel rapporto - ha posto in essere misure di controllo alle frontiere che mettono a rischio la vita dei migranti e dei richiedenti asilo e non garantiscono la sicurezza delle persone che fuggono da conflitti e persecuzione”. E in molti Stati “migranti e richiedenti asilo finiscono regolarmente nei centri di detenzione e persino in container per la navigazione o gabbie metalliche”.

In questo contesto l’Italia non fa eccezione. Quella che si registra nel nostro Paese, ha spiegato Antonio Marchesi, presidente di Amnesty Italia (www.amnesty.it) è una “una situazione con molte ombre, tra cui spiccano la discriminazione nell’accesso a una serie di diritti fondamentali di molti italiani e stranieri, i rom segregati nei campi, i lavoratori migranti spesso sfruttati dai datori di lavoro e privi di accesso alla giustizia, l’allarmante livello raggiunto dalla violenza omicida contro le donne, gli ostacoli che incontra chi chiede verità e giustizia per coloro che sono morti mentre si trovavano nelle mani di agenti dello Stato o che sono stati torturati o maltrattati in custodia, e la stigmatizzazione pubblica sempre più accesa di chi è diverso per colore della pelle o origine etnica”.

Di fronte a questo quadro, le parole recentemente pronunciate dal Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge in occasione della cerimonia di consegna della cittadinanza simbolica a 200 bambini milanesi figli di stranieri ma nati in Italia rappresentano un’importante voce fuori dal coro. “Il meticciato è già realtà  - ha affermato Kyenge - è la fotografia del Paese. Questo impone un cambiamento di visione generale. È la base per costruire un Paese moderno e un’Italia migliore”. E se, ha continuato il neo ministro, la parola meticciato fa paura, è necessario capire che “la ricchezza di un’identità viene proprio da questo”.

Le polemiche nate all’indomani delle dichiarazioni di Kyenge sulla necessità di una legge sulla cittadinanza in base al principio dello ius soli, cioè della nascita sul territorio italiano, non hanno minimamente intimorito questa coraggiosa donna di origine congolese, divenuta un simbolo della ricchezza che i migranti possono portare al nostro e a qualunque altro Paese. 

La battaglia di Kyenge in favore dell’integrazione degli stranieri è ancora più importante in un momento di difficoltà come quello che l’Italia sta attraversando, in cui tensioni sociali sempre più forti fanno da sfondo a una crisi economica di cui stanno pagando il prezzo soprattutto le fasce più deboli della popolazione. 

Fare in modo che il suo impegno diventi il nostro impegno, anche nei piccoli gesti e momenti quotidiani, non è solo una scelta di civiltà ma anche di intelligenza, da cui dipende la società del domani, quella in cui vivranno i nostri figli e cresceranno i nostri nipoti.

Jennifer Zocchi