Gli interventi umanitari nell'era del Web 2.0

“Beware, incoming storm”. Attenzione, tempesta in arrivo. La scritta lampeggiante appare sul videoterminale di una stazione di controllo meteo sulla costa del Bangladesh. A individuare il pericolo è il sofisticatissimo occhio elettronico di un satellite in orbita intorno alla Terra, in grado di cogliere le variazioni della pressione atmosferica e trasmettere i dati a un computer per farne analizzare le possibile conseguenze.

Allertato dal sistema Gps (acronimo che sta per global positioning system, sistema di posizionamento globale), immediatamente un operatore trasmette via radio l’informazione a una flotta di pescherecci in alto mare, che preso atto della turbolenza in arrivo rientrano in porto senza il minimo danno.

Potrebbe sembrare fantascienza, invece è solo questione di mesi. In Bangladesh una compagnia di telefonia mobile ha stretto un accordo con il Centre for the study of global change e alcune Ong per istituire un sistema coordinato di allarme meteo per i pescatori basato su tecnologia Gps, capace di prevenire non solo tempeste e mareggiate, ma anche eventuali maremoti o tsunami, consentendo, nel caso, l’evacuazione anticipata delle zone costiere.

Contemporaneamente, a migliaia di chilometri di distanza, nello Zimbabwe un sistema di rilevamento dei telefoni cellulari viene utilizzato per combattere la malnutrizione e individuare le zone a maggior diffusione di Hiv. E ancora, in Libia, le organizzazioni umanitarie stanno impiegando una piattaforma software open source, Ushahidi, per mappare le aree di crisi e pianificare i loro interventi.

Gli esempi potrebbero continuare a lungo. Partendo dall’Egitto e arrivando in Cambogia sono decine e decine i casi in cui le nuove tecnologie vengono utilizzate in contesti di rischio ed emergenza umanitaria per migliorare i meccanismi di risposta, il coordinamento degli aiuti, la prevenzione (quando possibile) dei disastri naturali e facilitare, nelle maniere più disparate, gli interventi sul campo.

Volendo usare un linguaggio caro al web, si potrebbe parlare di “Intervento umanitario 2.0” per indicare la nuova fase che l’avvento di cellulari, sistemi Gps, modem satellitari e minicomputer ha aperto nella gestione delle situazioni di crisi e nella prevenzione dei disastri naturali.

Tecnologie che nei Paesi occidentali servono unicamente a semplificare la vita, ma che in contesti difficili e pericolosi possono invece contribuire a salvarla, aprendo nuove vie di comunicazione, abbattendo frontiere invisibili ma precedentemente invalicabili e avvicinando tra loro persone prima separate da distanza incolmabili.

Jennifer Zocchi