Oms: Diminuisce la mortalità infantile nel mondo grazie all’impegno della comunità internazionale

Garantire il diritto alla vita ai milioni di bambini che ogni giorno nascono nel mondo significa in primo luogo proteggere la loro salute nelle prime settimane dopo il parto, quelle in cui il rischio di contrarre malattie e infezioni letali è più elevato. Negli ultimi anni gli investimenti globali sulla salute materna e infantile sono andati moltiplicandosi, consentendo di raggiungere risultati importanti per la tutela della gravidanza e per il benessere dei neonati. Un trend positivo evidenziato dal recente studio condotto dall’Organizzazione mondiale per la sanità in collaborazione con Save the children e la London school of hygiene and tropical medicine.

Secondo il dossier negli ultimi vent’anni i decessi neonatali hanno fatto registrare un calo costante e significativo: tra il 1990 e il 2009 il numero dei bambini morti nelle prime quattro settimane di vita è infatti sceso da 4,6 a 3,3 milioni, mentre “la sopravvivenza delle madri è aumentata del 2,3 per cento all’anno, quella dei piccoli sotto i 5 anni del 2,1, e quella dei bebé entro i 28 giorni di vita dell’1,7 per cento all’anno”. Un risultato certamente positivo, che, nel giudizio degli autori dell’analisi, è stato possibile raggiungere soprattutto grazie all’impegno profuso dalla comunità internazionale sulla scorta degli Obiettivi di sviluppo del millennio fissati dalle Nazioni unite nel 2000, che prevedono tra le altre cose la riduzione di due terzi della mortalità infantile e di tre quarti di quella materna entro il 2015 (Obiettivi 3 e 4).

Non abbassare la guardia. A fronte dei passi avanti compiuti l’Oms ha comunque invitato governi, organizzazioni internazionali, ong e associazioni che combattono la mortalità infantile a non abbassare la guardia nella loro importante lotta. Per l’Organizzazione quelli realizzati sono “progressi ancora troppo lenti” e che per giunta riguardano quasi esclusivamente i Paesi economicamente più avanzati. Il 99 per cento dei decessi neonatali continua infatti ad avvenire negli Stati in via di sviluppo, dove si concentra anche la maggior parte delle morti materne. A tal riguardo le Nazioni unite ricordano che se tra il 1990 e il 2008 le complicazioni fatali legate alla gravidanza e al parto sono diminuite del 34 per cento, questo tasso è comunque ancora pari a meno della metà di quanto sarebbe necessario per conseguire l’Obiettivo del millennio di ridurre la mortalità materna del 75 per cento entro il 2015. Oggi una donna di un Paese povero è 300 volte più esposta al rischio di morire per complicazioni legate alla gravidanza o al parto rispetto a chi vive in un Paese industrializzato. E le principali cause di morte continuano ad essere gravi emorragie post parto, infezioni e aborti effettuati in condizioni non sicure.

Uno squilibrio inaccettabile. Ogni anno solo in India si contano oltre 900mila morti di neonati, il 28 per cento circa del totale. La Nigeria è al secondo posto in questa drammatica classifica (era quinta nel 1990), mentre la Cina è passata dal secondo al quarto. Con una riduzione delle morti dei neonati di solo l’uno per cento l’anno, il continente africano è quello che ha registrato il miglioramento più lento nel mondo. A questa velocità, l’Africa avrebbe bisogno di oltre 150 anni per raggiungere i livelli di sopravvivenza di Stati Uniti o Regno Unito. Sul versante opposto, otto dei dieci Paesi dove i miglioramenti sono stati più significativi sono ad alto reddito: Cipro, Repubblica Ceca, Estonia, Grecia, Lussemburgo, Oman, San Marino e Singapore (gli altri due, Maldive e Serbia, sono considerati a reddito medio).
Uno squilibrio evidente e inaccettabile, che richiama l’attenzione dell’intera comunità internazionale sulla necessità di avviare uno sforzo coordinato a livello globale per combattere una delle grandi piaghe che ancora oggi minaccia l’umanità, ponendo a rischio il suo futuro e la sua stessa sopravvivenza.

Jennifer Zocchi