Ripartire dai progetti agricoli e rurali per sconfiggere fame e povertà

“Per fare un tavolo ci vuole un fiore”, recitava una celebre filastrocca scritta da Gianni Rodari. Partendo da una semplice canzoncina uno dei più grandi scrittori per i piccoli (ma non solo), spiegava in una maniera comprensibile anche a un bambino quanto sia importante coltivare un rapporto equilibrato con la natura. Un concetto sottolineato anche dalla Fao e dall’Ifad nel dossier appena pubblicato Good practices in building innovative rural institutions to increase food security.

Presentato in occasione dell’International year of cooperatives, lo studio dell’Organizzazione delle Nazioni unite per l’alimentazione e l’agricoltura (www.fao.org) e del Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (www.ifad.org) offre una panoramica su 35 casi di progetti, programmi e piani di intervento istituzionali nel settore dell’agricoltura e della piccola imprenditoria rurale che hanno contribuito a garantire la sicurezza alimentare e l’uscita dalla povertà di diverse regioni del mondo.

Nell’introduzione del documento Kanayo F. Nwanze, presidente dell’Ifad, mette in evidenza il ruolo centrale svolto da organizzazioni, associazioni di produttori e cooperative nella battaglia che la comunità internazionale ha intrapreso contro la fame e l’indigenza, richiamando al tempo stesso l’attenzione sulla necessità di sostenere con risorse crescenti questo genere di iniziative.

Gli esempi riportati nel dossier partono dall’Honduras, dove l’ampliamento dei poteri concesso ai consigli comunitari ha portato all’abolizione della pratica di bruciare i residui delle coltivazioni, e arrivano in India, Paese in cui “un’associazione di donne ha potuto fornire prestiti per sbloccare terre ipotecate e liberare chi si era indebitato dalla schiavitù degli usurai”.

Tra le tappe intermedie si trovano il Camerun, che ha visto gruppi di contadini lavorare insieme a associazioni di venditori e ricercatori "alla selezione di una nuova varietà di banano da cottura che è riuscito non solo a vendersi a un prezzo migliore rispetto alla variante tradizionale, ma anche a fornire nuovi sbocchi lavorativi”, e il Gambia, che ha sperimentato l’istituzione di una piattaforma nazionale ittica di pescatori e operatori del settore per aprire un dialogo con il governo.

Secondo la Fao e l’Ifad i progetti selezionati hanno rappresentato un indubbio progresso anche grazie alla possibilità di includere al loro interno giovani e donne. Queste ultime, in particolare, rappresentano il 43 per cento della forza lavoro agricola nei Paesi in via di sviluppo, eppure rispetto agli uomini sono meno pagate, hanno lavori meno sicuri e minore accesso alle risorse agricole.

La nostra pubblicazione sulle buone pratiche - spiegano le due organizzazioni - mostra sia possibile aiutare le donne a superare le barriere sociali, economiche e ambientali con cui devono fare i conti ogni giorno, offrendo loro l’accesso ai mercati, al credito, a corsi di divulgazione agricola e alle risorse naturali”.

Jennifer Zocchi