A quota 7 miliardi, ripensare i nostri modelli di sviluppo e di consumo

I demografi lo avevano annunciato già parecchio tempo fa, producendosi in previsioni che andavano dal catastrofismo più spinto a un moderato ottimismo. Qualcuno aveva parlato di conflitti inevitabili, carestie ed epidemie. Qualcun altro aveva invece posto l’accento sulla possibilità di evitare tutto questo basandosi semplicemente sul buon senso e la razionalità.
Adesso il momento delle speculazioni è finito e l’ora X è scoccata: la popolazione mondiale ha toccato il traguardo dei 7 miliardi di abitanti. A rivelarlo è stato pochi giorni fa l’ultimo rapporto dellUnfpa, il Fondo delle Nazioni unite per la popolazione, che tra le sue funzioni ha anche quella di monitorare le variazioni del numero di abitanti del globo ed elaborare strategie volte a contenere o sanare per quanto possibile gli squilibri demografici esistenti tra diverse regioni del pianeta.

Come sottolineato dal dossier dell’organismo dell’Onu, il vertiginoso aumento della popolazione mondiale, incrementata di un miliardo negli ultimi 10 anni e di ben 6 miliardi rispetto all’Ottocento, è un fenomeno recente nella storia dell’umanità. Basti considerare che 2.000 anni fa il mondo intero era abitato da circa 300 milioni di esseri umani, che hanno impiegato più di 1.600 anni per raddoppiare di numero. La crescita demografica ha avuto una notevole impennata solo a partire dalla metà del secolo scorso, quando si è iniziata a registrare una riduzione della mortalità nelle regioni meno sviluppate che ha portato nel 2.000 a una stima della popolazione mondiale di 6,1 miliardi, quasi due volte e mezzo la cifra di cinquant’anni prima.

Chiaramente, evidenziano le Nazioni unite, la continua crescita del numero di abitanti del pianeta è il risultato di una serie di progressi in campo scientifico, medico, sanitario e sociale, che hanno determinato tra le altre cose una diminuzione del numero di malattie letali, un miglioramento generalizzato delle condizioni di salute, una maggiore disponibilità di cibo a livello globale. Parallelamente però, questo incremento reca con sé una serie di nuove sfide, collegate all’uso razionale delle risorse naturali, alla riduzione delle disuguaglianze sociali e all’adozione di modelli di crescita compatibili con le esigenze del pianeta.

La nascita del concetto di sostenibilità. Nel 1987 Gro Harlem Brundtland, l’allora presidente della Commissione mondiale su ambiente e sviluppo, istituita nel 1983, presentò al mondo il rapporto Our common future (Il nostro comune futuro), elaborando la prima definizione di sviluppo sostenibile, ancora oggi valida e utilizzata a livello internazionale. Il documento recitava: “Lo sviluppo sostenibile è quello che consente alla generazione presente di soddisfare i propri bisogni senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”.
Il dossier Bruntland constatò che i punti critici e i problemi globali collegati alla povertà, alle disuguaglianza sociali, ai conflitti e allo spreco delle risorse erano dovuti essenzialmente alla grande povertà del Sud del mondo e ai modelli di produzione e di consumo non sostenibili del Nord. Il rapporto evidenziava quindi la necessità di attuare una strategia in grado di integrare le esigenze dello sviluppo con quelle dell’ambiente, secondo un modello armonico e condiviso a livello planetario. Questa strategia è stata definita in inglese con l’espressione sustainable development, tradotta appunto in italiano con sviluppo sostenibile.

La necessità di una crescita equilibrata. Oggi la nozione di sviluppo sostenibile è entrata stabilmente nella nostra cultura e nel nostro linguaggio. I programmi elaborati dall’Onu per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo del millennio e per favorire un rapporto più equilibrato tra il Nord e il Sud del mondo rimandano tutti in modo più o meno diretto a questo concetto. E negli ultimi due decenni gli impegni di governi, istituzioni e organizzazioni internazionali, ong e associazioni per una crescita compatibile con le limitate risorse naturali a disposizione dell’umanità si sono moltiplicati, come pure i risultati ottenuti in quest’ambito. Come sottolineato dagli esperti, i mezzi tecnici e scientifici a disposizione del genere umano sono ormai in grado di fornire adeguato sostentamento e benessere a tutta la popolazione mondiale. I notevoli squilibri che ancora esistono tra l’Occidente e i Paesi in via di sviluppo e quelli più arretrati non sono causati quindi dalla mancanza di mezzi, ma dalla loro cattiva gestione, che fa sì che attualmente il 20 per cento della popolazione mondiale consumi l’80 per cento delle risorse. Per fortuna la consapevolezza che uno sviluppo equilibrato e sostenibile a livello globale è ormai una necessita imprescindibile è sempre più diffusa ad ogni livello della comunità internazionale e questo lascia sperare che ai passi avanti compiuti fino a questo momento se ne aggiungeranno presto degli altri in grado di portare a una significativa riduzione della disuguaglianza sia a livello economico che sociale.

Jennifer Zocchi