Durban: un impegno condiviso per vincere la sfida dei cambiamenti climatici

Fermare il riscaldamento globale prima che la colonnina di mercurio che misura la temperatura del pianeta salga di oltre 2 gradi, causando catastrofici sconvolgimenti climatici. Riavviare un dialogo tra Paesi e istituzioni internazionali rimasto sostanzialmente in stand-by dopo il fallimento del vertice di Copenhagen del 2009. Dare attuazione alle decisioni prese l’anno scorso a Cancun. E soprattutto, tentare di trovare un accordo sulla riduzione delle emissioni di gas serra che possa subentrare al Protocollo di Kyoto. Sono ambiziosi gli obiettivi della conferenza di Durban, che fino al 9 dicembre vede riuniti nella città sudafricana le delegazioni di oltre 190 Stati nel tentativo di elaborare una strategia condivisa dall’intera comunità internazionale per la lotta al climate change.

Nonostante il proliferare di analisi e ricerche che dimostrano in maniera inequivocabile come la degenerazione delle condizioni climatiche e ambientali del pianeta sia sempre più prossima al raggiungimento di un punto di non ritorno, superato il quale ogni intervento umano per cercare di salvare la situazione risulterà inutile, dopo il fallimento di Copenhagen i temi della riduzione globale delle emissioni inquinanti e del contenimento del global warming sono slittati nelle ultime pagine dell’agenda internazionale.

Secondo gli studi delle Nazioni unite ogni anno in tutto il pianeta sono milioni le vittime e gli sfollati causati da eventi meteorologici estremi come inondazioni, alluvioni, carestie, siccità e tsunami, direttamente collegati all’aumento incontrollato della temperatura terrestre. A farne le spese sono soprattutto le popolazioni dei Paesi più poveri, dall’America Latina all’Asia, passando per l’Africa. E all’interno dei singoli contesti il peso maggiore dei disastri naturali ricade sulle donne, gli anziani e i bambini.

A Durban l’Unicef ha lanciato un allarme rivolto a tutti gli Stati, sottolineando che, in mancanza di interventi immediati, nel prossimo decennio il numero di minori deceduti per cause collegate ai fattori ambientali potrebbe passare da 66,5 milioni l’anno (stime del 1990) a ben 175 milioni. “Molti bambini - ha spiegato l’organizzazione - si trovano già oggi a dover fronteggiare rischi climatici come cicloni, mareggiate e temperature estreme, che incidono sulle loro possibilità di sopravvivenza e sul loro benessere. Alcune delle malattie killer dei bambini sono molto sensibili al climate change, responsabile di un aumento dei tassi di malnutrizione, colera, diarrea, febbre dengue e malaria”. L’Agenzia ha ricordato che “la metà dei casi di malnutrizione registrati globalmente è collegato a fattori ambientali come l’inquinamento, la siccità e la scarsità d’acqua”.

Le stime indicano che a causa del global warming il numero di casi di diarrea potrebbe aumentare tra il 2 e il 5 per cento entro il 2020 in tutti i Paesi con reddito pro capite inferiore a 6.000 dollari l’anno; in alcune zone dell’Africa l’aumento potrebbe arrivare al 10 per cento.

A fronte di questa situazione, molte voci si sono sollevate dal basso per chiedere ai governi di mettere da parte i propri interessi e riavviare un dialogo costruttivo per trovare una soluzione condivisa alla sfida rappresentata dai cambiamenti climatici. Associazioni e organizzazioni ambientaliste, il mondo del volontariato e quello degli attivisti per i diritti sono uniti nel sostenere la necessità di interventi immediati, che vadano soprattutto in direzione di aiuti consistenti ai Paesi in via di sviluppo, quelli maggiormente minacciati dal riscaldamento globale.

Jennifer Zocchi